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1.1 - La banalità del male

Pubblicato il 28 dicembre 2023

Hannah Arendt, una giornalista americana, seguì per il quotidiano New Yorker il processo contro Adolf Eichmann, un funzionario tedesco responsabile dello sterminio degli ebrei durante il periodo nazista. Eichmann si trovava in Argentina sotto la protezione del governo locale, e nel 1961 fu catturato dai servizi segreti israeliani e portato in Israele. Fu sottoposto a processo in un tribunale di Gerusalemme dove la parte giudicante era composta da Ebrei, che erano anche la parte lesa del processo. L’imputazione era di aver coordinato l’organizzazione dei trasferimenti degli ebrei verso i campi di sterminio. Eichmann come sua unica difesa dichiarò che si era “occupato solo dei trasporti”, e che aveva ricevuto ordini superiori e lui, come subalterno, non poteva fare diversamente.

Da qui nasce il pensiero che Hannah Arendt vuole rendere manifesto al mondo, l’indifferenza e la superficialità con cui Eichmann aveva partecipato al genocidio.

Lei si aspettava di trovarsi di fronte un mostro, l’incarnazione del male nella sua forma più distruttiva e spietata, e invece dovette fare i conti con la cruda realtà: si trovò davanti un semplice funzionario di polizia, grigio e mediocre, incapace di rendersi conto dell’atrocità che aveva commesso, un uomo che non era capace di pensare con la propria testa, di fare una sua valutazione dei crimini che si stavano compiendo, un uomo che eseguiva gli ordini senza pensare né rendersi conto di cosa stesse facendo.

Da questa constatazione le è nata l’idea di scrivere il libro “La banalità del male”: non c’è bisogno di geniali killer spietati e sadici per commettere un genocidio, basta l’assenza del suo pensiero su quello che uno sta facendo, come quello di eseguire semplicemente degli ordini che ha ricevuto.

Il titolo inizialmente fu interpretato male, infatti la Arendt, non voleva certo banalizzare l’eliminazione di milioni di ebrei da parte dei Nazisti, un crimine orrendo e incomprensibile senza precedenti nella storia. Al contrario voleva rendere ancora più mostruoso ciò che era accaduto: Eichmann non aveva rimorso, né una coscienza per fare una valutazione di quello che aveva fatto. Egli disse che “sotto il Nazionalsocialismo il male era la legge, che regolava tutto, e lui non poteva infrangere la legge”.

Leggendo il libro “La banalità del male” di Hannah Arendt possiamo allargare il discorso anche ai giorni nostri.

Innanzitutto conoscere la storia, per sapere cosa è successo in passato, e non ripetere gli errori che hanno permesso a pochi uomini di uccidere milioni di persone innocenti nel più vigliacco assenso silenzioso di individui che da questi si facevano governare.

Dall’altro lato stimolare il pensiero di tutti, uomini e donne, ad una riflessione e a una maturazione che possa impedire di diventare come Eichmann, cioè persone grigie, complici ignare del male che viene fatto intorno a noi e che pensano che a loro non le tocca, non le riguarda. Ma dove attecchisce il male? Secondo Hannah Arendt sta nell’ignoranza, nell’egoismo e nel piccolo amor proprio. L’ignoranza comunque è la componente fondamentale, poiché è basata sulla paura, nella diffidenza verso il prossimo, verso quello che non si conosce.

Ecco una citazione che fa Hannah Arendt e che rende l’idea: “restai colpita dall’evidente superficialità del colpevole, superficialità che rendeva impossibile ricondurre l’incontestabile malvagità dei suoi atti a un livello più profondo di cause e motivazioni. Gli atti erano mostruosi, ma l’attore risultava quanto mai ordinario, mediocre, tutt’altro che demoniaco e mostruoso. Nessun segno in lui di ferme convinzioni ideologiche o specifiche condizioni malvagie, l’unica caratteristica degna di nota che si potesse individuare nel suo comportamento fu non tanto la stupidità, ma la totale mancanza di un pensiero consapevole”.

Se ci fermiamo un attimo a riflettere, la stessa mancanza di pensiero la ritroviamo oggi nella massa, che invece di incuriosirsi e di crearsi una cultura demanda tutto ai social network, ai programmi trash, ad un’inutile ricerca della popolarità fine a sé stessa. Così facendo rischiamo di comportarci tutti come Eichmann, diventando ignari ed inconsapevoli complici del male che ogni giorno avviene intorno a noi.
Invece dovremmo incuriosirci, dovremmo diventare attori sul palcoscenico del mondo, per non diventare delle semplici comparse, ignare dei crimini indicibili che stanno avvenendo ogni giorno.

Per concludere il messaggio che Hannah Arendt ci vuole comunicare con “La Banalità del male” è quello di non sottovalutare certi comportamenti apparentemente “banali” come quello di ripetere una cosa di cui non siamo consapevoli se non per sentito dire. La parola “banalità” sta ad indicare che il male è più frequente di quanto pensiamo, e si nasconde nei comportamenti a cui diamo poca importanza, ma che sono caratterizzati dall’assenza di un nostro pensiero consapevole. Il male spesso non è evidente, ma si nasconde nei dettagli, ed è perpetrato anche da persone che evitando di manifestare il proprio pensiero, senza rendersene conto danno anche loro un contributo.