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4.1 Storia - La rivoluzione cognitiva

Pubblicato il 28 dicembre 2023

Centomila anni fa nella terra vivevano contemporaneamente almeno sei differenti specie di ominidi. Calcolando tutte le specie allora esistenti, probabilmente non raggiungevano neppure un milione di individui, e i componenti della nostra specie Homo sapiens, erano solo alcune decine di migliaia. Sebbene da oltre centomila anni avessero già popolato l’Africa Orientale, i sapiens cominciarono a penetrare in tutte le altre parti del pianeta portando all’estinzione delle altre specie umane soltanto a partire da circa settantamila anni fa. Nei millenni intercorsi tra queste due epoche, quei sapiens arcaici non avevano alcun significativo vantaggio sulle altre specie umane. Anzi, sembra che nel primo incontro di cui si sappia tra i Sapiens e i Neanderthal, prevalsero i Neanderthal. Questo avvenne circa centomila anni fa, quando alcuni gruppi Sapiens migrarono verso Est. Ma probabilmente a causa del clima non favorevole, o forse a causa di scontri con i nativi, i sapiens alla fine si ritirarono, lasciando ai Neanderthal il Medio Oriente. L’insuccesso di questa prima migrazione ha spinto gli studiosi a pensare che la struttura interna dei cervelli di questi Sapiens era probabilmente differente dalla nostra. Cioè nell’aspetto erano simili a noi, ma le loro capacità cognitive erano più limitate.

A partire da settantamila anni fa, gruppi di Sapiens lasciarono l’Africa una seconda volta, e raggiunsero l’Europa e l’Asia Orientale. Questa volta spinsero i Neanderthal fuori del Medio Oriente, e nel periodo che va da settantamila e fino a circa trentamila anni fa realizzarono molte invenzioni: le imbarcazioni, le lampade a olio, gli archi e le frecce, gli aghi (essenziali per cucire gli indumenti per ripararsi dal freddo), i primi oggetti d’arte. Risale a questo periodo anche la pratica del commercio, la religione, e la stratificazione sociale, e circa quarantacinquemila anni fa riuscirono ad attraversare l’oceano e ad approdare in Australia, un continente che fino a quel momento non era abitato dagli umani.

In Germania, in una grotta nota come “la Grotta di Hohlenstein-Stadel” è stata rinvenuta una statuina di avorio che risale a trentaduemila anni fa. La statuina rappresenta una “leonessa- donna”, il corpo è umano, ma la testa è leonina. È uno dei primi esempi di arte, e probabilmente di religione, oltre che della capacità della mente umana di immaginare cose che non esistono nella realtà. Numerosi ricercatori ritengono che queste realizzazioni siano state il prodotto di una rivoluzione avvenuta nelle capacità cognitive dei Sapiens. Secondo loro, il popolo che portò all’estinzione i Neanderthal, che si insediò in Australia, e che scolpi l’ Uomo-leone di Hohlenstein-Stadel era intelligente, creativo e sensibile al pari di noi. Nel periodo che va da settantamila a trentamila anni fa iniziarono a comparire nuovi modi di pensare e di comunicare. Gli scienziati ritengono che in questo periodo sia avvenuta la prima grande rivoluzione dei Sapiens: la rivoluzione cognitiva.

Cosa fu a determinarla? Non lo sappiamo. C’è una teoria che la fa dipendere da mutazioni genetiche accidentali che modificarono il cervello dei Sapiens, consentendogli di pensare e di immaginare forme prima inesistenti, e di esprimerle con suoni e articolando parole per comunicare. Questo processo, avvenuto nel corso di alcune migliaia di anni, tra i settantamila e i trentamila anni fa, sembra sia il risultato di una mutazione genetica che ha cambiato il modo di funzionare del cervello umano.

Ma come mai questo è accaduto nel DNA dei Sapiens e non in quello dei Neanderthal? Non lo sappiamo! Ma se le cause ci sono ignote, è però importante capire quali sono state le conseguenze di questa mutazione. Cosa avvenne di talmente speciale nel linguaggio dei sapiens da metterli in condizioni di conquistare il mondo? D’altra parte, non si trattava del primo linguaggio esistente. Ogni animale ha un suo linguaggio. Gli insetti, come le api e le formiche, sanno come comunicare tra loro e lo fanno in modi molto sofisticati, informandosi reciprocamente sui posti dove trovare il cibo.

E non era neppure il primo linguaggio vocale. Numerosi animali, come ad esempio tutte le scimmie ne hanno uno. Alcune scimmie, per esempio, usano un richiamo che significa “Attenzione! Aquila!”, un altro richiamo leggermente differente avvisa gli altri “Attenzione! Un leone!”. Quando i ricercatori con un registratore facevano sentire il primo di questi due richiami a un gruppo di scimmiette, tutte guardavano in alto paurose. Quando lo stesso gruppo sentiva la registrazione del secondo richiamo “allarme leone” di colpo tutte le scimmiette scattavano e si arrampicavano sugli alberi. I sapiens sanno riprodurre molti più suoni distinti rispetto alle scimmie, ma le balene e gli elefanti, per esempio, posseggono capacità di comunicare ugualmente complesse.

C’è una seconda teoria che si basa sul fatto che il nostro linguaggio si è sviluppato come mezzo per condividere informazioni sul mondo. Cioè, secondo questa teoria l’homo sapiens è innanzitutto un animale sociale, e la cooperazione tra gli individui è la chiave della sopravvivenza e della riproduzione, per cui si è sviluppato il linguaggio basato sui pettegolezzi. A ogni uomo o donna di un gruppo non basta sapere dove ci sono i leoni o i bisonti. Molto più importante per loro è sapere chi, nel loro gruppo, dorme con chi, chi è onesto o chi è imbroglione. La quantità di informazioni che un individuo deve immagazzinare allo scopo di essere al corrente dei rapporti che esistono tra le poche decine di membri del suo gruppo è enorme. Ad esempio, in un gruppo di cinquanta individui, si possono contare innumerevoli combinazioni sociali complesse.

Anche le scimmie mostrano uno spiccato interesse per questo tipo di informazione sociale, ma in effetti chiacchierano con molta difficolta. Anche l’homo sapiens arcaico probabilmente aveva problemi a parlare alle spalle di qualcuno, una capacità che gode di cattiva fama, ma che è essenziale per permettere la cooperazione di un gran numero di persone. Ma la capacità che acquisì progressivamente nel periodo che va dai settantamila ai trentamila anni fa gli permise di acquisire la pratica di chiacchierare per ore senza interruzione. Il fatto poi di avere informazioni attendibili riguardo agli individui di cui ci si poteva fidare, dette l’opportunità di ampliare il numero dei componenti del clan.

Questa teoria incentrata sul pettegolezzo può anche sembrare uno scherzo, ma è supportata da numerosi studi. Ancora oggi, la maggior parte della comunicazione umana – nella forma delle e-mail, conversazioni telefoniche, rubriche sui giornali ecc. – è gossip. Chiacchierare è così naturale da indurre a pensare che il nostro linguaggio si sia sviluppato proprio per questo scopo. Pensate forse che i professori di storia, quando s’incontrano a pranzo, stiano a discutere delle ragioni per cui è scoppiata la Prima Guerra Mondiale, o che i fisici nucleari, alle conferenze scientifiche, passino il tempo della pausa caffè a parlare dei quark? Qualche volta, si. Ma più spesso chiacchierano della professoressa che ha sorpreso il marito a tradirla, o della disputa tra il preside e il capo di dipartimento, infatti di solito, il gossip s’incentra sulle malefatte di qualcuno. È probabile, comunque, che siano valide entrambe le teorie, quella del gossip e quella dell’informazione seria.

Tuttavia, la caratteristica davvero unica del nostro linguaggio non è la capacità di trasmettere informazioni sugli altri uomini, ma è piuttosto la capacità di inventarsi delle storie e trasmettere informazioni su cose che non esistono affatto. Per quanto ne sappiamo, solo i Sapiens sono in grado di inventarsi cose che non hanno mai visto.