3.6 Economia, il mercato e il reddito di cittadinanza

Pubblicato il 03 maggio 2024

Economia è una parola di origine greca, che ha una doppia radice, “oicos” e “nomos”, dove “oicos” è la famiglia e “nomos” vuol dire la legge la regola, e quindi il significato di “economia” è “la regola della famiglia”.

Noi la usiamo anche nel linguaggio comune, quando diciamo per esempio l’economia di un discorso, e quindi intendiamo un sistema ordinato.

Mercato deriva invece da merce, e la merce è una cosa molto complessa.

Vediamo come definisce la parola “merce” un grandissimo pensatore che viene considerato il padre fondatore della scienza economica, cioè Adam Smith.

Nella Ricchezza delle Nazioni, che è la sua opera fondamentale, Smith cerca di individuare l’origine del mercato, nel senso di capire come ha avuto origine questa dimensione della vita sociale, cioè perché gli uomini si associano e regolano la loro società sulla base del mercato e delle sue regole.

Da sempre il mercato è un luogo di aggregazione e di scambio, e nel tempo ha assunto forme differenti accompagnando l’evoluzione della civiltà stessa.

Nell’antichità, il mercato era legato alla vita politica e sociale delle città.   In Grecia la “Agorà” era il centro della Polis, sia dal punto di vista economico che da quello politico e religioso.

A Roma il “Foro” era il luogo in cui si concentravano le attività politiche e religiose e anche economiche della città.

In seguito, il mercato come luogo di scambio è diventato un centro sempre più autonomo. Nelle città medioevali il mercato è stato praticato in spazi aperti, in strade o piazze circondate da porticati o al pian terreno di edifici pubblici.

In età moderna, la grande disponibilità di beni provenienti da tutti i territori del mondo ha prodotto una crescente separazione fra il luogo fisico in cui sono scambiate le merci, e il significato intellettuale, come ad esempio le leggi che regolano il funzionamento dei mercati.

Adam Smith nella sua opera “La Ricchezza delle Nazioni” fa un’analisi molto

approfondita del fondamento del mercato, e collega il mercato alla tendenza naturale che ha l’uomo a scambiare.

Smith dice: “Gli uomini quando s’incontrano scambiano pensieri sulla luna, e da quest’abitudine a scambiarsi idee poi nasce il mercato”. Infatti, Smith distingue quel tipo di scambio generale di pensieri sulla luna, da quello che lui chiama uno scambio mercenario. Lo scambio mercenario per Smith è lo scambio delle merci.

Le merci sono dei beni che sono prodotti da qualcuno, non per il proprio consumo, ma perché possano essere portate in un luogo dove questi beni sono scambiati o venduti in cambio di altri beni.

C’è una frase famosissima di Smith nella quale dice: “Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del panettiere che noi ci aspettiamo il nostro pranzo, ma è dal calcolo che loro fanno del loro interesse”.

In questa frase c’è chiara la distinzione tra quello che è un bene, il pane è un bene, la carne è un bene, e quello che è una merce, sempre la carne, il pane, sono una merce quando non sono consumate da chi le ha prodotte, ma sono vendute o scambiate con chi produce altri beni. In altre parole, noi produciamo dei beni per il nostro consumo, ma questi stessi beni diventano merci quando li scambiamo con altri sul mercato. Pertanto, il mercato è un luogo dove organizzare gli scambi modo ordinato.

Gli scambi possono essere di vario genere, ad esempio si parla di scambi di materie prime, scambi di beni e servizi. Il mercato quindi oltre a essere una struttura dedicata a fini economici si afferma anche come frutto di un processo sociale.

Lo scambio è di per sé un’azione sociale. I soggetti che entrano in una relazione di scambio potrebbero ottenere i beni che desiderano anche per altre vie, diverse da quelle del mercato, come ad esempio l’autoproduzione, il baratto, il dono, l’assegnazione da parte di un potere centrale. Tuttavia, il predominio del mercato, secondo molti studiosi, è dovuto al fatto che gli esseri umani considerano lo scambio come il modo più pratico e socialmente più efficiente per procurarsi i beni di cui ciascuno ha bisogno. Perché si sviluppi il mercato diversi individui devono trovarsi nella condizione di poter incontrare con facilità altri soggetti con cui effettuare lo scambio.

Lo scambio deve risultare reciprocamente utile. Bisogna anche disporre d’informazioni adeguate, e inoltre i beni oggetto di scambio e le informazioni relative a questi beni devono poter circolare liberamente.

Per realizzare queste condizioni è stato necessario un lungo processo di trasformazione per cui il mercato è diventato nel tempo una vera e propria istituzione sociale: un insieme di norme che regola in modo durevole lo scambio come attività volta a conseguire fini socialmente rilevanti.

Per capire come funziona un mercato gli economisti di solito fanno un esempio tratto dall’opera di uno dei massimi teorici del mercato: il francese Léon Walras, che nel 1870 ha pubblicato un libro dal titolo: “Elementi di Economia Politica Pura”.

In questo libro Walras riprende la storia di Robinson Crusoe, tratta dal libro di Daniel Defoe, e la trasforma, cioè racconta come Robinson, dopo il naufragio, arriva sulla spiaggia non da solo, così come racconta Daniel Defoe nel suo libro, ma insieme a un centinaio di marinai, ciascuno dei quali è riuscito a portare con sé dalla nave che sta affondando chi del rum, chi del caffè, chi della polvere da sparo, chi un calamaio, chi dell’inchiostro, chi del riso, chi del tabacco, ecc. I superstiti dopo questo spaventoso naufragio arrivano sulla spiaggia ciascuno con questo bene che è riuscito a portare con sé dalla nave.

E sulla spiaggia, Walras dice “fanno un mercato”. Cioè iniziano a scambiarsi il grano con il riso, il riso con il tabacco, il tabacco con la polvere da sparo. Questo avviene in modo così immediato e anche rapido che nel volgere di poco tempo il mercato cessa, cioè ciascuno dopo lo scambio ottiene quello che desiderava.

Quando tutti gli scambi sono finiti e hanno soddisfatto i desideri di ciascuno, non c’è più il mercato. A questo punto c’è il momento del consumo.

A questa immagine del mercato come meccanismo di allocazione e di ridistribuzione delle risorse che ciascuno aveva all’inizio, arriva dopo un po’ a una situazione in cui ciascuno ha quello di cui aveva bisogno, ed è più soddisfatto. Questa è una visione del mercato che è considerata valida ancora oggi.

La teoria del mercato di Walras è molto astratta, e in un certo senso è molto matematica; tuttavia, è basata sul funzionamento reale di un mercato.

Walras dice che il mercato perfetto è il mercato di borsa. Nel mercato di borsa avvengono moltissimi scambi: esiste un soggetto che si chiama il banditore, il quale ha la funzione di raccogliere tutte le informazioni sia dei soggetti che desiderano comprare, sia dei soggetti che desiderano vendere (stiamo parlando della borsa della seconda metà dell’ottocento).

Il banditore poi calcola sulla base delle domande e delle offerte quale potrebbe essere un prezzo adeguato, cioè un prezzo per il quale tutte le domande siano esattamente pari alle offerte.

Walras dice anche un’altra cosa interessante, e cioè che “nella realtà abbiamo il banditore, ma in teoria noi potremmo sostituire il banditore con un computer”. In realtà la parola utilizzata da Walras è “un calcolatore”, che è la parola usano i francesi per il computer, cioè i francesi il computer lo chiamano ancora oggi “il calcolatore”.

Noi potremmo mettere dentro il calcolatore (cioè dentro il computer) tutte le domande e tutte le offerte, e nel giro di pochi secondi, il computer ci dà il prezzo di equilibrio (cosa che, in effetti, avviene anche oggi). “Il prezzo di mercato di equilibrio” è quel prezzo che soddisfa l’uguaglianza tra tutte le domande e tutte le offerte.

Il prezzo indica il valore di un bene. Quando vi sono molti beni e servizi scambiati ci vuole un’unità di misura unica per regolare gli scambi. Il prezzo allora è la quantità di denaro richiesta per acquistare un certo bene.

Il problema del prezzo, cioè del valore monetario di scambio dei beni, è uno dei temi fondamentali della scienza economica, poiché da esso dipende sia la ricchezza degli individui e sia quella degli Stati.

La scienza economica si propone di spiegare da che cosa dipende il livello dei prezzi. Le teorie dei prezzi che sono maggiormente seguite sono due:

– La prima è la teoria del valore-lavoro, secondo la quale il rapporto di scambio fra due merci, dipende dalla quantità di lavoro necessaria per produrle (questa teoria è dovuta a due grandi economisti: Adam Smith e Davide Riccardo).

– La seconda è la teoria del valore utilità, dovuta alla scuola marginalista, secondo la quale il prezzo di un bene è determinato dal suo grado di utilità e dalla sua quantità.

Secondo la scienza economica gli elementi che concorrono a determinare il prezzo di un bene possono essere esaminati solo quando ci sono le condizioni di concorrenza perfetta.

John Stuart Mill nella sua opera afferma esplicitamente che solo se si segue il principio della concorrenza perfetta l’economia politica può pervenire a proposizioni scientifiche.

Ma dice anche che la concorrenza perfetta è una forma di mercato che però non riscontra nella realtà.

Un altro economista contemporaneo di Walras, Francis I. Edgeworth, nel 1881 pubblicò un’opera dal titolo: Psichica-matematica, in cui propone una visione del mercato diversa da quella del Walras.

Anche Edgeworth, come Walras, parte dell’esempio di Robinson Crusoe. Ma mentre il Robinson Crusoe di Walras, era un Robinson Crusoe che si portava dietro un centinaio di marinai, il Robinson Crusoe di Edgeworth è solo, e incontra venerdì (naturalmente queste che stiamo raccontando sono solo delle storielle, che però sono usate dagli economisti per descrivere il funzionamento di un mercato).

Nella versione del mercato di Edgeworth ci sono solo due soggetti e due beni. I due beni sono le monete che possiede Robinson Crusoe, e il lavoro che possiede venerdì, cioè venerdì possiede semplicemente la forza lavoro.

Quando i due s’incontrano sull’isola, uno che possiede solo il lavoro e l’altro le monete, iniziano a conversare (qui c’è un richiamo ai pensieri sulla luna di Adam Smith) poi nel corso della conversazione dicono: “ma tu saresti d’accordo a cedermi tre ore del tuo lavoro, cioè ti compro tre ore del tuo lavoro” – dice Robinson a venerdì – “e in cambio ti do due sterline?”    

E venerdì può accettare o non accettare.

Accetta se, cedendo le tre ore del suo lavoro in cambio di due sterline, ritiene di ritrovarsi in una situazione migliore.

Non accetta se ritiene che due sterline siano troppo poco, e questo processo di conversazione che porta a uno scambio di lavoro contro sterline va avanti sino a un certo punto, che è lo stesso della storiella precedente di Walras, cioè sino a quando entrambi i soggetti raggiungono una posizione di soddisfazione reciproca, tale che ulteriori scambi non potrebbero che peggiorare la situazione raggiunta.

Questo che abbiamo raccontato a parole, Edgeworth l’ha scritto anche in forma matematica, e ha mostrato come da questo semplicissimo scambio tra due persone, e due beni, aumentando il numero dei Robinson Crusoe e il numero dei venerdì, cioè aumentando la popolazione, le cose in realtà non cambiano molto, nel senso che alla fine si arriva a una situazione che non può essere ulteriormente migliorata.

Questa situazione è una posizione di equilibrio. Detto in parole attuali quello che abbiamo descritto è un gioco, che noi oggi chiamiamo “un gioco di contrattazione”.

Esiste una branca della scienza economica contemporanea che si chiama: “teoria dei giochi”, e studia proprio questo tipo di giochi, cioè questo tipo d’interazione tra gli individui che può condurre o no a un equilibrio.

Nel 2012 due economisti americani: Alvin E. Roth e Lloid S. Shapley hanno preso il premio Nobel per l’economia perché, con la loro Teoria sulla configurazione dei Mercati hanno sviluppato queste idee sul gioco di contrattazione di Edgeworth, che in inglese si chiama: “Recontracting”.

Cioè i soggetti ricontrattano, fino a quando arrivano a un contratto che è conclusivo, perché è il contratto che segna l’equilibrio che è stato raggiunto.

Abbiamo visto quindi due diverse visioni del mercato, quella di Walras, in cui c’è una quantità di soggetti maggiore, e quella di Edgeworth, che parte invece dal numero minimo di soggetti, cioè due soli soggetti, anche se poi si allarga a molti soggetti.

Tuttavia, sia in una visione, come nell’altra, il risultato finale del mercato è un equilibrio. Gli agenti che agiscono nel mercato, che siano due, o che siano molti, arrivano alla fine a una posizione che è una posizione di equilibrio.

Il punto che entrambi, cioè sia Walras e sia Edgeworth mettono in luce, è che questa posizione di equilibrio è una situazione di efficienza.

Dal punto di vista della teoria economica efficienza vuol dire che la posizione di ogni soggetto è tale che non possa essere migliorata senza che questo comporti il peggioramento della posizione di un altro soggetto.

Detto in altri termini: se nel mercato fosse possibile attraverso lo scambio migliorare la posizione di un soggetto senza peggiorare la posizione di un altro soggetto, questa non sarebbe una posizione di efficienza.

Va chiarito però un punto fondamentale, e cioè che la definizione di efficienza citata in qualsiasi trattato di economia è la Pareto-efficienza.

Pareto è l’economista che è succeduto a Walras nella cattedra di Economia dell’Università di Losanna, ed ha sviluppato questa idea di Walras e di Edgeworth.

Riprendiamo l’esempio di Edgeworth, e cioè l’esempio di una società in cui ci siano solo due soggetti, e supponiamo che la dotazione iniziale di questi due soggetti, sia che Robinson Crusoe ha cento arance e cinquanta banane, e venerdì non ha niente.

Se la situazione fosse questa, per la scienza economica questo sarebbe un equilibrio efficiente, perché per migliorare la posizione di venerdì che non ha nulla, bisognerebbe peggiorare la posizione di Robinson Crusoe, perché bisognerebbe togliergli qualche arancia o qualche banana: anche se fosse solo una, questa non sarebbe più una situazione efficiente, perché la situazione efficiente è la situazione di partenza.

Da quest’esempio si vede che per la Scienza Economica la nozione di efficienza e di equilibrio del mercato dipendono dalle posizioni iniziali dei soggetti, e cioè dalle loro dotazioni iniziali di beni.

Quindi la nozione di efficienza è una nozione che è ben diversa dalla nozione di equa distribuzione dei beni.

Il pensiero economico successivo ha ritenuto che l’efficienza non sia l’unico criterio per misurare la bontà della posizione sociale ed economica dei componenti della società.

Cominciamo da Adam Smith. Nella “Ricchezza delle Nazioni” c’è una famosissima metafora che viene ripetuta spesso, ed è la metafora della mano invisibile. Secondo questa metafora nella società ogni individuo perseguendo ciascuno il proprio fine personale fa sì che alla fine si arrivi a una situazione di equilibrio in cui ciascuno ottiene ciò di cui ha bisogno.

Ma questo com’è possibile? Secondo Adam Smith è la mano invisibile della Provvidenza che tramite il funzionamento degli scambi, cioè del mercato, sistema tutto.

Quest’idea, che il mercato tramite il funzionamento degli scambi alla fine raggiunga un equilibrio, e che questo equilibrio, come ci hanno spiegato Walras e Edgeworth, sia efficiente nel senso che abbiamo visto, è un risultato che la teoria economica ha sviluppato recentemente con una teoria molto famosa di due premi Nobel che si chiamano Arrow (Nobel nel 1972) e Debreu (Nobel nel 1983).

Sia Arrow che Debreu nella loro teoria hanno dimostrato che la grandissima virtù del mercato è quella di condurre a un equilibrio e a un equilibrio efficiente. Ma questo magnifico risultato di equilibrio efficiente si può raggiungere solo in un mercato perfetto, cioè in un mercato teorico, in un mercato come quello descritto nelle storielle di Walras e di Edgeworth.

Nella realtà, affinché il mercato possa garantire l’equilibrio e l’efficienza sono necessarie alcune condizioni:

– La prima è che ci sia perfetta informazione, cioè che tutti i soggetti che partecipano al gioco del mercato, sia dal lato dell’offerta, che dal lato della domanda, siano perfettamente a conoscenza della qualità dei beni, del prezzo dei beni, e questo è un requisito che come tutti sappiamo, non si può mai raggiungere, tant’è vero che prima di acquistare anche una cosa semplice, come un frigorifero o un televisore andiamo ad almeno due o tre differenti negozi per confrontare qualità, prezzi, eccetera.

Questo però è un costo, è il costo dell’informazione. Dedichiamo cioè del tempo ad acquisire informazione perché non abbiamo una perfetta conoscenza del mercato. Ma se non c’è perfetta informazione non si può raggiungere né l’equilibrio, né l’efficienza.

–  La seconda condizione è che non esistano monopoli, cioè che si tratti di una società fittizia, in cui vi siano una molteplicità d’imprese, ciascuna libera di entrare e di uscire dal mercato a costo zero, ma questo nella realtà non accade mai.

–  La terza condizione è che non vi siano esternalità.

Per esternalità in economia s’intendono tutte quelle interazioni tra i soggetti, sia consumatori che produttori, che non vengono considerate nei rapporti di mercato.

I rapporti tra le persone nel mercato sono stabiliti con i prezzi. Ma se, per esempio, supponiamo che l’inquilino del piano di sopra, alle due di notte suona il pianoforte e ci disturba, questo è qualche cosa che non viene considerato nei prezzi. Questo è un esempio di esternalità nel consumo.

Vediamo ora un esempio di esternalità nella produzione. Se noi abbiamo un fiume, e a monte di questo fiume c’è una tintoria, a valle invece c’è una fabbrica di birra. Per produrre la birra occorre l’acqua pulita, ma la tintoria getta nell’acqua del fiume dei coloranti, i quali inquinano l’acqua, in questo caso la birreria subisce un danno per cui dovrebbe acquistare delle macchine, per depurare l’acqua. Questa è un’esternalità, che non viene considerata dal mercato.

Poiché esternalità di questo tipo ce ne sono moltissime, il mercato non è perfetto. Ma se il mercato non è perfetto, il mercato non garantisce un equilibrio efficiente, e infatti nelle condizioni reali il mercato non porta mai a un equilibrio efficiente come nelle favole che ci avevano raccontato Walras e Edgeworth.

Ma se allora se la situazione è questa, occorre che qualcuno o qualche ente esterno al mercato intervenga a sopperire alle manchevolezze del mercato. Questo qualcuno può essere lo Stato, possono essere delle associazioni di persone, delle fondazioni, ma è evidente che il mercato da solo non è in grado di portare un risultato ottimale.

Come abbiamo detto sopra, un mercato perfetto in grado di condurre all’equilibrio e all’efficienza nel mondo reale non esiste. Ma se anche all’inizio il mercato fosse in condizioni di equilibrio ed efficienza, se i soggetti partono da condizioni iniziali di disuguaglianza, cioè hanno una distribuzione disuguale della ricchezza, il risultato cui perviene il mercato porterebbe con sé quelle iniquità e quelle disuguaglianze che c’erano all’inizio, cioè il mercato di per sé non solo non è in grado di risolvere le disuguaglianze che ci sono all’inizio, ma le ritrasmette alle generazioni future.

Quindi si pone il problema di ridistribuire le ricchezze e i redditi in modo da rendere la società meno disuguale.

Questo è il grande problema di oggi, perché in qualsiasi paese, in qualsiasi regime politico, sia esso di destra che di sinistra, si pone il problema redistributivo.

Il punto centrale di questa questione è che la redistribuzione della ricchezza e del reddito, in modo da rendere la società meno disuguale si può fare in due modi diversi:

Il primo è che noi possiamo ridistribuire la ricchezza e i redditi dopo che l’economia ha funzionato, cioè quando la torta è fatta. Facciamo la torta più grande e poi ne redistribuiamo una parte.

Oppure possiamo ridistribuire la ricchezza in modo tale che le posizioni di partenza dei soggetti, che poi vengono a concorrere nel mercato, abbiano dotazioni iniziali più eque. È profondamente ingiusto che ci siano soggetti con una dotazione iniziale immensa, e altri invece, figli di operai, che partano con una dotazione iniziale minima o nulla.

Gli economisti contemporanei hanno ideato diversi metodi per superare questo problema.

Una delle proposte avanzate dal pensiero economico contemporaneo, e oggi molto seguita, è quella di un “reddito di cittadinanza” (o Basic incount come viene detto in inglese).

Nella teoria economica il reddito di cittadinanza è un reddito di base, pagato indistintamente a tutti i cittadini senza alcun obbligo di attività, per una somma che sia sufficiente per vivere e prendere parte attiva alla vita sociale. È un contributo distribuito ai cittadini per condividere gli utili sociali prodotti dall’attività economica della comunità di cui fanno parte.

Questo reddito non è condizionato alla ricerca di un lavoro, come nel caso dell’indennità di disoccupazione. È corrisposto a persone fisiche e non alle famiglie, in modo tale da promuovere l’autonomia dei singoli.

Finora è stato adottato da alcuni degli Stati membri dell’Unione Europea: il Belgio; il Lussemburgo; l’Austria; la Francia; l’Olanda (dove esistono due tipi di reddito minimo garantito: uno che si accompagna al sostegno per l’affitto e per i trasporti e un secondo destinato esclusivamente agli artisti); la Germania, dove oltre al sussidio per chi è senza lavoro, sono aggiunte le coperture statali dei costi per l’affitto e per il riscaldamento. In Gran Bretagna, oltre a vari altri sussidi sociali c’è una rendita rilasciata a titolo individuale dai 18 anni di età a tutti coloro i cui risparmi non siano sufficienti per un tenore di vita dignitoso.

In Italia il Governo precedente aveva introdotto un reddito di cittadinanza ma Governo attuale l’ha soppresso.

Il riconoscimento di un Basic incount minimo come fattore d’inserimento nella società ai cittadini europei più poveri, valido in tutti gli Stati dell’Unione, è in fase di discussione (ormai da molti anni) nel Parlamento Europeo, ma finora non si è arrivati a un accordo poiché il populismo, ormai dilagante nella vita politica europea, lo ritiene un incentivo dato a coloro che non hanno intenzione di cercarsi un lavoro.