4.3 Storia - La rivoluzione agricola

Pubblicato il 26 aprile 2024

Secondo gli antropologi circa 50.000 anni fa l’Homo Sapiens uscì dall’Africa, attraversò il mare e raggiunse il Medioriente. Da qui i Sapiens si diffusero prima in Europa e in Asia, poi in Australia e infine in America. Erano cacciatori e raccoglitori nomadi, vivevano raccogliendo le piante che trovavano in natura e cacciando gli animali selvaggi. Le risorse naturali erano sufficienti per sostentare la popolazione umana di quegli immensi territori.

I bambini piccoli costituivano un fardello per i cacciatori-raccoglitori, per cui cercavano di distanziare le nascite dei figli, così che fra l’una e l’altra passassero almeno tre o quattro anni. Le donne badavano ai propri figli tutto il giorno e li allattavano il più a lungo possibile (l’allattamento prolungato riduceva le possibilità di rimanere incinta). Altri metodi erano l’astinenza sessuale (sostenuta probabilmente da prescrizioni di tipo culturale) e in alcuni casi l’aborto.

Durante un lungo periodo durato molte migliaia di anni poteva succedere che la gente si cibasse di frumento ma comunque erano quantità insignificanti. La pratica dell’agricoltura si affermò in modo graduale e si svolse nell’arco di alcuni millenni. Il cambiamento procedette per stadi, ciascuno dei quali produsse solo un piccolo aggiustamento nelle consuetudini quotidiane.

Circa 18.000 anni fa l’ultima glaciazione lasciò il passo a un periodo di riscaldamento del Pianeta. Con la crescita della temperatura aumentarono le piogge. Il nuovo clima era ideale per il frumento e per altri cereali, che si moltiplicarono e si diffusero. La gente cominciò a mangiare più frumento e favorì involontariamente la sua espansione.

Poiché era impossibile mangiare i cereali spontanei senza prima macinali e cuocerli, la gente li raccoglieva e li portava nei propri accampamenti per lavorarli. In questo tragitto alcuni chicchi cadevano lungo le piste battute dai nostri antenati. Così, con il passare del tempo, sempre più frumento iniziò a crescere e nei tratturi e nei pressi dei loro insediamenti.

A favorire la diffusione dei cereali furono anche gli incendi delle macchie e delle foreste, spesso provocati dagli umani. Il fuoco spazzava via i cespugli e gli alberi, consentendo al frumento e ad altre erbe di crescere al loro posto.

Nelle zone in cui frumento diventava particolarmente abbondante, e dove c’era anche una buona quantità di selvaggina e di altre fonti alimentari, i gruppi umani abbandonarono gradualmente la vita nomade per sistemarsi in accampamenti stagionali e che nel passare del tempo diventavano permanenti.

L’archeologia ha documentato la nascita dei primi insediamenti stabili di cacciatori-raccoglitori nel periodo tra il 12.500 e il 9.300 a.C. nella cosiddetta mezzaluna fertile – l’area che si estende dal Libano al Medioriente e ai Monti Zagros dell’Iraq -, una zona dove le piogge sono sufficienti per la nascita spontanea dei cereali selvatici. Qui i gruppi nomadi scoprirono una vasta famiglia di piante, granaglie e legumi. Le prove sono sparse nelle valli di tutta la mezzaluna fertile.

Negli anni ’30 l’archeologa Dorothy Garrod eseguì degli scavi intorno al Monte Carmelo, in Palestina, nel sito di Wadi Natuf, un insediamento risalente a un periodo compreso tra il 12.500 e il 10.200 a.C. Qui scoprì il corpo di un uomo sepolto 12.000 anni fa. Era raggomitolato e indossava sulla testa una fascia con delle conchiglie. Continuando a scavare trovò un attrezzo con un manico d’osso e una fila di taglienti schegge di selce. Le schegge erano coperte da alcune tracce di erba, una specie di frumento selvatico. Dorothy Garrod capì che si trattava di una falce primitiva costruita per tagliare il frumento selvatico che serviva per l’alimentazione delle persone che vivevano nel sito di Wadi Natuf, per cui diede a quelle persone il nome di Natufiani.

In seguito vennero scoperti insediamenti simili contemporanei ai Natufiani anche nei siti di Nahal Oren, El-Wad, Beidha e Ain Mallaha. Villaggi simili furono scoperti anche in Mesopotamia, in Iraq ai piedi dei monti Zagros e in particolare a Zawi Chemi Shanidar.

Erano villaggi con un’estensione inferiore a un ettaro, con una popolazione di 200-300 persone alloggiate in capanne circolari di legno coperte di frasche di 3-4 metri di diametro. La ricostruzione ripetuta nel tempo delle stesse abitazioni prova la presenza di comunità stanziali che risiedevano tutto l’anno nello stesso sito.

A questo periodo risale la struttura monumentale di Göbekli Tepe, situata nell’odierna Turchia sudorientale. Scoperta nel 1995 dall’archeologo tedesco Klaus Schmidt, che si dedicò agli scavi fino alla sua morte nel 2014. Nell’area di Göbekli Tepe – ancora oggi in fase di studio -, sono state trovate varie costruzioni megalitiche circolari costituite da mura intervallate da pilastri a forma di “T”, di un’altezza che oscilla tra il metro e mezzo e i cinque metri e mezzo di altezza e del peso di alcune tonnellate. I pilastri sono decorati con incisioni a rilievo di animali selvatici come cinghiali, volpi, tori, uccelli, serpenti e scorpioni. Al centro sono situati i due pilastri più alti, anch’essi a forma di “T”, con incisioni di figure umane e risalgono al X millennio a.C., quindi precedenti alle prime testimonianze di agricoltura.  Gli archeologi si sono interrogati riguardo a quale fosse la funzione di Göbekli Tepe. Secondo Klaus Schmidt, lo scopritore del sito, si trattava del centro di riunione di comunità di cacciatori-raccoglitori che vi si recavano periodicamente in pellegrinaggio per celebrare un qualche rituale a sfondo religioso. Furono queste riunioni che favorirono la formazione di gruppi più grandi dei semplici nuclei familiari o dei clan e queste occasioni di condivisione permisero la costruzione di Göbekli Tepe, il primo tempio della storia.

Negli anni che seguirono al 9.500 a.C., i discendenti dei Natufiani continuarono a raccogliere cereali e a lavorarli, iniziando anche a coltivarli in modi sempre più elaborati. Raccogliendo i cereali selvatici, fecero attenzione a mettere da parte un po’ di raccolto ottenuto per seminare i campi della stagione successiva. Scoprirono che potevano ottenere risultati migliori se seminavano i chicchi più in profondità nel terreno, per cui iniziarono ad arare e a zappare il terreno. Gradualmente impararono anche a ripulire i campi dalle erbacce e ad annaffiarli. Dedicando più sforzi alla coltivazione dei cereali, rimaneva meno tempo per la caccia e per la raccolta di specie selvatiche e, gradualmente, i cacciatori raccoglitori diventarono sempre più agricoltori.

Un tempo gli studiosi ritenevano che fra il 9500 e l’8500 a.C. l’agricoltura si fosse propagata dalla mezzaluna fertile al resto del mondo, oggi invece sostengono che l’agricoltura si sia affermata in varie zone del Pianeta e non per opera di agricoltori mediorientali che avevano esportato la loro rivoluzione agricola ma in modo del tutto indipendente.

In America Centrale gli umani domesticarono il mais e i fagioli senza sapere niente della coltivazione del frumento e dei piselli che veniva fatta nel Medioriente.

I sudamericani impararono a coltivare le patate e ad allevare i lama senza essere a conoscenza di quanto accadeva altrove.

I primi agrari della Cina domesticarono il riso, il miglio e i maiali.

Gli abitanti della nuova Guinea domesticarono la canna da zucchero e i banani, mentre i primi agricoltori dell’Africa occidentale coltivarono per le loro necessità il riso africano, il sorgo e il frumento.

Da questi punti focali l’agricoltura si diffuse ovunque. Nel primo secolo d.C. la stragrande maggioranza delle genti in quasi tutto il mondo era dedita all’agricoltura.

Come mai le rivoluzioni agricole si sono affermate nel Medio Oriente, in Cina e in America centrale e in Africa, e non in Australia, in Alaska e in Sudafrica?

La ragione è semplice: la maggior parte delle specie vegetali e animali non può essere domesticata. Delle migliaia di specie che i nostri antenati cacciavano e raccoglievano, solo poche si prestavano alla cultura e all’allevamento.  Quelle poche vivevano in posti particolari, che col tempo sono diventate la sede delle rivoluzioni agricole.

Un tempo gli studiosi sostenevano che la rivoluzione agricola avesse rappresentato un grande passo balzo in avanti per l’umanità. Raccontavano una storia di progressi alimentati dalle capacità del cervello umano. L’evoluzione aveva gradualmente prodotto individui sempre più intelligenti, tanto che alla fine gli uomini erano diventati così capaci e sapienti da riuscire a decifrare i segreti della natura, cosa che permise loro di domesticare le pecore e di coltivare il frumento. Appena avvenuto questo avevano abbandonato la vita dura e pericolosa del cacciatore raccoglitore, avevano costruito villaggi e insediamenti stabili per praticare una vita più agevole e meno pericolosa, quella dell’agricoltore.

In realtà non c’è nessun riscontro che le cose siano andate così. In primo luogo non c’è nessuna prova del fatto che le persone siano diventate più intelligenti col passare del tempo. In secondo luogo, i cacciatori-raccoglitori conoscevano i segreti della natura molto prima che arrivasse la rivoluzione agricola, poiché la loro sopravvivenza dipendeva da una conoscenza approfondita degli animali che cacciavano e delle piante che raccoglievano; pertanto la rivoluzione agricola ha procurato solo un’esistenza generalmente più difficile e meno soddisfacente di quella dei cacciatori-raccoglitori. Questi ultimi passavano il loro tempo in modi più variati e meno alienanti e correvano meno rischi di patire la fame e le malattie. La rivoluzione agricola certamente ha aumentato la quantità totale di cibo a disposizione dell’umanità ma questa nuova abbondanza non è stata in grado di fornire una dieta migliore e una vita più comoda, è stata invece causa di esplosioni demografiche e ha dato origine alla creazione di élite viziate.

È difficile dire con esattezza quando ebbe luogo la transizione decisiva verso l’agricoltura. Comunque, nell’8500 a.C. il Medioriente era disseminato di villaggi stanziali i cui abitanti impiegavano la maggior parte del loro tempo a coltivare poche specie di cereali domesticati.

Con l’aumento delle provviste di cibo cominciò a crescere la popolazione. Poiché le donne avevano abbandonato la vita nomade potevano avere un bambino ogni anno. I piccoli venivano svezzati molto presto con pappe di cereali. Tutte le mani in più erano necessarie nei campi. Solo che le bocche in più da sfamare esaurivano in fretta le scorte di cibo, così occorreva coltivare altri campi.

Poiché la dieta dei figli si basava più sui cereali che sul latte delle madri, si riducevano le difese immunitarie e aumentavano le malattie. Crebbe la mortalità infantile. Nella maggior parte delle società dedite all’agricoltura almeno un figlio su tre moriva prima di avere raggiunto i vent’anni. Tuttavia l’incremento delle nascite restava ancora superiore all’incremento dei decessi e gli umani non smisero di generare molti figli. Col passare del tempo l’economia del frumento diventò sempre più onerosa. I bambini venivano impiegati nel lavoro dei campi ancora in tenera età e gli adulti si guadagnavano il pane col sudore della fronte. Ma nessuno si rendeva conto di quanto stava avvenendo e ogni generazione viveva come la precedente, introducendo solo dei piccoli miglioramenti nel modo di fare le cose. Paradossalmente tutti questi miglioramenti, ciascuno dei quali avrebbe dovuto rendere la vita più facile, finì per trasformarsi in una sorta di enorme fardello posto sulle spalle di questi primi agricoltori.

Essi non si rendevano conto che nutrire i figli con più pappe e meno latte materno voleva dire indebolire il loro sistema immunitario e che gli insediamenti permanenti avrebbero costituito un focolaio di malattie infettive. Non capivano che accrescendo la dipendenza da una singola fonte di cibo, in realtà, si esponevano a eventuali devastazioni causate dalla siccità. Non previdero che nelle annate buone i granai pieni avrebbero suscitato l’attenzione di ladri e nemici, e il rischio di essere depredati delle loro risorse con la conseguenza di patire la fame. Perché dunque gli umani non abbandonarono la coltivazione per ritornare alle vecchie abitudini di cacciatori-raccoglitori?

Il motivo probabilmente dipende dal fatto che ci vollero intere generazioni per attuare i piccoli cambiamenti che furono necessari a trasformare la società e, a quel punto, nessuno ricordava più di essere vissuto in un modo diverso. Inoltre, con la crescita demografica l’umanità aveva bruciato i ponti alle spalle e, pertanto, non si poteva più tornare indietro.

Il perseguimento di una vita più facile aveva sempre portato a difficoltà maggiori. Accade anche a noi, oggi: i nostri problemi demografici sono aumentati col passare del tempo e sono aumentate anche le difficoltà di trovare delle soluzioni.