5.15 Attualità Sardegna - Antonio Muscas

Pubblicato il 09 giugno 2024

Antonio Muscas, ingegnere – Conferenza CESP, 16/02/2024 – I problemi della Decarbonizzazione, del consumo di Energia e la Transizione Energetica

Cominciamo col dire alcune cose. La prima è che non esiste attività umana che abbia impatto zero. Questo deve essere un concetto sempre chiaro a tutti quanti. Un po’ è stato accennato prima, e si tratta sempre di stabilire, per ogni azione che noi compiamo anche i modi con cui queste azioni sono portate avanti, e l’intensità in termini poi d’impatto di queste azioni.

Perciò, quando Graziano Bullegas parlava dei problemi dell’assalto al territorio (vedi l’articolo 5.4 del Blog, NdR) non si tratta di una contrapposizione alle rinnovabili in quanto tali, ma si tratta di una contrapposizione all’intensità di questi progetti. Poi entreremo un po’ più nei dettagli per capire che ci sono conseguenze che non riguardano soltanto il consumo di suolo, ma hanno altri aspetti che per certi versi possono essere anche molto più gravi rispetto a questo.

L’altro punto è questo: si parla in questi anni di ridurre le emissioni climalteranti. Nello specifico si concentra tutta la nostra attenzione sulle emissioni di CO₂, però la questione dell’anidride carbonica o della CO₂ è semplicemente una semplificazione, che è diventata una banalizzazione, nel senso che le emissioni non riguarda soltanto la CO₂.

In particolare, le emissioni climalteranti non riguardano esclusivamente la CO₂ ma questo gas è soltanto uno dei tanti che va a incidere sul cambiamento climatico. L’altra cosa è che esistono anche altre emissioni che non vanno a riguardare il riscaldamento globale, ma che hanno impatti sull’ambiente e sulla salute altrettanto gravi. Quindi non solo l’anidride carbonica.

Le altre problematiche da risolvere, poi vedremo perché, che sono strettamente connesse tra di loro, sono: il riscaldamento globale, le emissioni climalteranti incluso l’uso del suolo, l’inquinamento ambientale e poi il depauperamento delle risorse ambientali naturali e consumo del suolo.

Le sostanze maggiormente climalteranti sono: la CO₂, l’anidride carbonica, il metano, che anche qua poi faremo un accenno, se abbiamo tempo, per capire nello specifico di che cosa si tratta, e il protossido di azoto.

Nel loro complesso costituiscono quasi il 75% delle emissioni totali dell’economia italiana. Quindi questi tre gas, a cui se ne aggiungono altri che derivano per esempio dalle deiezioni animali, che nonostante possano essere piccoli quantitativi, poi hanno impatti notevolmente superiori rispetto anche alla CO₂ e al metano.

In questo quadro c’è descritto l’andamento delle emissioni nel corso degli anni a partire dal 1960, vedete le curve che crescono notevolmente.

Nel riquadro in alto a destra ci sono quattro diagrammi, e si possono vedere le emissioni della Cina, Stati Uniti, Europa e India.

Vedete che mentre l’Europa e gli Stati Uniti a partire dagli anni 2000 hanno ridotto, in teoria, le loro emissioni, la Cina in particolare e l’India hanno invece incrementato. La Cina in maniera considerevole, tanto è vero che oggi la Cina è diventato il primo responsabile di emissioni climalteranti a livello globale.

Le emissioni totali oggi si misurano in 36,8 miliardi di tonnellate di CO₂ equivalente.

Ora, guardando questi grafici uno potrebbe dire che viste le buone azioni portate avanti dagli Stati Uniti e dall’Europa, noi dovremo intervenire perché siano paesi come la Cina e l’India a ridurre le loro emissioni.

Già è stato detto prima che di fatto la Cina, con oltre 1 miliardo e 300 milioni di abitanti, in effetti, come emissioni pro capite è nettamente più bassa rispetto agli Stati Uniti, che hanno poco più di 300 milioni di abitanti, e che ancora oggi da soli si mangiano circa un quarto delle risorse a livello mondiale.

Però qua c’è un aspetto che va trattato, ed è dovuto al fatto che noi, nel corso degli anni, soprattutto a partire da quegli anni là, abbiamo iniziato le attività delle cosiddette delocalizzazioni, cioè abbiamo spostato le nostre attività, soprattutto quelle più impattanti, in questi paesi cosiddetti in via di sviluppo, e questo per diverse ragioni:

La prima è per il costo della manodopera, e anche per il fatto che certi paesi hanno garantito che non ci fossero interventi sulla tutela dei lavoratori, perché comunque anche la tutela per le aziende ha dei costi, ha dei costi economici e anche delle rotture di scatole perché non consente di portare avanti i programmi in maniera diciamo “allegra”.

L’altra conseguenza è di natura ambientale, perché spesso e volentieri queste aziende svolgono le loro attività, come possiamo vedere se andiamo a documentarci un po’, senza nessun riguardo in merito alle conseguenze ambientali.

Noi abbiamo delle norme che sono abbastanza restrittive in questo senso, e che ci hanno consentito oggi di abbattere notevolmente l’inquinamento delle industrie. In alcuni di questi paesi, soprattutto per quanto riguarda oggi la lavorazione dei minerali che stiamo utilizzando per le nuove tecnologie, possono tranquillamente compiere dei veri e propri disastri senza conseguenze di sorta.

Ma questa delocalizzazione che cosa comporta poi, anche in termini di emissioni? Comporta che il calcolo delle emissioni noi lo facciamo basandoci semplicemente di quanto emettiamo nei nostri paesi.

Se noi invece tenessimo conto, poi lo vedremo in seguito, delle cosiddette emissioni fantasma, ovvero le emissioni che non vengono calcolate qua, il bilancio si ribalterebbe completamente.

Ora, i settori a maggior consumo di energia sono divisi quasi equamente tra civile, industria, e trasporti. Come ha detto Graziano prima, l’agricoltura nonostante svolga un ruolo importante per quanto riguarda la nostra economia, in posti di lavoro, in termini di consumi energetici, come potete vedere, rappresenta appena il 3% dei consumi complessivi.

È interessante vedere che in questi tre settori, l’incidenza delle rinnovabili rimane abbastanza marginale.

Un’altra cosa da dire è che noi per abbattere i consumi, perché questi settori qua fanno uso abbondante di combustibili fossili per produrre l’energia di cui hanno bisogno, e un’altra cosa importante è che noi dovremo, per svolgere la transizione ecologica, dovremo chiaramente intensificare notevolmente i consumi elettrici, quindi quel fabbisogno elettrico di cui si è parlato prima, di cui ha accennato prima Graziano, per quanto riguarda la Sardegna, quindi quegli 8000 GWh annui dovranno crescere e presumibilmente raddoppiare nel corso degli anni.

Ma non tutti i consumi possono essere elettrificati, e non tutti i consumi sono giustificabili, nel senso che se io dovessi ipotizzare di incrementare il consumo elettrico a livello globale mi rendo conto che non avrei risorse sufficienti per soddisfare questo obiettivo.

Quindi le strade sono due: una è l’elettrificazione dei consumi, e l’altra è quella di abbattimento drastico dei consumi, non abbiamo un’altra strada.

Ma abbattimento drastico dei consumi non significa ritornare a vivere nelle grotte, significa appunto cambiare il nostro modello sociale, trovare delle strategie, che esistono già, perché oggi una parte importante dei consumi sono veri è propri sprechi.

Potete immaginare che gli Stati Uniti da soli, in termini di spreco di energia, la quota di spreco di energia è pari al consumo energetico di un paese come l’Argentina.

Per dare altri numeri, l’esercito degli Stati Uniti, senza contare poi l’inquinamento che produce l’esercito quando interviene, ma in termini solo di consumi energetici l’esercito consuma quanto un paese grande come il Portogallo.

Allora come sono suddivisi, questo è un altro dato importante, perché noi quando dobbiamo intervenire dobbiamo sapere qual è la nostra quota di responsabilità di ciascuno di noi, e qual è il margine d’intervento di ciascuno di noi.

Quindi come sono distribuite le emissioni in relazione al reddito? Noi possiamo vedere che l’1% più ricco del pianeta si mangia da solo circa il 15% delle risorse, è quello di viola in alto, sono i dati che vanno dal 1990 e in previsione fino al 2030. Quindi la parte più ricca consuma dalle 15 alle 16 volte in più della media globale.

Il 10% più ricco, che comprende quindi il 9% residuo, tolto quell’1%, si mangia da solo circa dal 32% al 34% delle risorse.

Quindi vuol dire che il 10% più ricco da solo è responsabile quasi del 50% delle emissioni a livello globale.

È interessante scoprire che il 50% più povero consuma tra il 7% e il 9% delle risorse. Poi potremmo anche vedere che c’è un 10% più povero che da solo praticamente incide in maniera veramente marginale perché sono quelle persone che vivono con un reddito inferiore a un dollaro al giorno.

Quindi è chiaro che noi ci possiamo, e credo che tutti qua dentro possiamo essere inseriti più o meno nella fascia media, quel 40%, che mediamente consuma il 40% delle risorse.

Ma è chiaro che se non s’interviene su quel 10% più ricco, è ben difficile poi raggiungere i livelli di abbattimento delle emissioni, che non significa come vedremo, soltanto abbattere le emissioni, ma significa proprio abbattere in maniera drastica lo sperpero di risorse.

Qua c’è una tabella che rappresenta il consumo d’impronta di carbonio pro capite, perché una volta che noi abbiamo visto le emissioni per paese, poi c’è anche la responsabilità, la singola responsabilità delle emissioni, e come vediamo gli Stati Uniti sono di gran lunga, l’ha fatto vedere prima di Liliana, gli Stati Uniti sono il paese di gran lunga con la maggior impronta di carbonio, a seguire c’è il Canada, che rappresenta l’America del Nord, e a seguire tutti gli altri. Come vedete quindi la Cina ha praticamente meno della metà dell’impronta degli Stati Uniti, e a seguire tutti gli altri, l’Italia con il 5,57.

Però anche qua c’è da dire una cosa, perché i paesi più ricchi sono anche quelli con le maggiori diseguaglianze, quindi noi dentro gli Stati Uniti poi dobbiamo rivedere la suddivisione che è stata vista precedentemente, cioè all’interno di quell’impronta lì, di queste 16 volte in più della media globale come viene suddivisa nella popolazione americana.

Quindi l’impronta di quell’1% più ricco io praticamente la devo moltiplicare per 15, e l’impronta di quel 50% più povero la devo dividere in maniera proporzionale per il diagramma che abbiamo visto prima.

Parlavamo prima delle emissioni fantasma, perché? Perché con la delocalizzazione è avvenuto questo, che di fatto noi abbiamo conteggiato le emissioni soltanto sulla base di quello che viene prodotto nei nostri paesi di appartenenza. Ma se io vado invece a misurare effettivamente le emissioni dei prodotti che vengono esportati è importati, ci sono paesi che addirittura dovrebbero aumentare la loro impronta anche del 40%. Come vedete infatti la Cina, in rosso vediamo la CO₂ incorporata nelle importazioni e la CO₂ incorporata nelle esportazioni. Vedete che la maggiore quota della Cina è quasi completamente dovuta alle esportazioni, quindi, di fatto, la Cina non è che sta emettendo molta CO₂ per soddisfare i propri fabbisogni, la Cina sta emettendo molta CO₂ per soddisfare i fabbisogni soprattutto dell’Occidente.

E negli altri paesi, nei paesi occidentali, il diagramma si ribalta completamente. Come potete vedere infatti l’Italia, la Francia e la Germania per non parlare poi degli Stati Uniti.

Quindi quell’impronta degli Stati Uniti che abbiamo visto prima, quel 7%, in realtà noi lo dovremmo quasi raddoppiare.

Quindi ancor oggi gli Stati Uniti, alla luce di questo diagramma, risulterebbero sicuramente il paese con la maggiore impronta di carbonio a livello globale, e anche il paese che si mangia la quota maggiore di risorse. Quindi trecento milioni di abitanti, che sono una piccola percentuale della popolazione globale che oggi si attesta intorno agli 8 miliardi di abitanti si mangia da sola la gran parte delle risorse. Ma non sono neanche tutti gli statunitensi, ma la parte più facoltosa degli statunitensi si mangia tutte queste risorse.

Quindi se io vado a moltiplicare le singole quote raggiungiamo dei numeri che sono esorbitanti. Anche qua, ripeto, è chiaro che se non si interviene su questa piccola percentuale, noi rischiamo di vanificare tutto il lavoro che dobbiamo fare.

Quindi è giusto che ciascuno di noi si muova in una direzione di riduzione dell’impatto, quindi non semplicemente in una riduzione delle emissioni, ma di riduzione dell’impatto ma la soluzione deve essere diretta in punti diversi: una è chiaramente la propria impronta, che è importante, ma il maggior sforzo deve essere compiuto a livello generale, perché io posso anche ridurre la mia impronta a livello zero ma se non cambio il sistema intorno a me io, sto vanificando tutto il mio sforzo, quindi è su questo che noi ci dobbiamo concentrare: è importante per ciascuno di noi, perché si tratta della salvaguardia della vita di tutti quanti, non solo di riscaldamento globale, ma anche d’inquinamento e di consumo delle risorse, le risorse soprattutto quelle finite, che noi dobbiamo utilizzare in maniera molto accurata, e perciò è importante che ciascuno di noi, soprattutto chi oggi sta ancora studiando nei licei e nelle università, che il proprio impegno lo dedichi anche a trovare delle soluzioni che siano percorribili per tutti quanti, e quindi ci possano garantire un’esistenza diciamo decorosa, chiamandola così.

Qua passò avanti, ci sono sempre diagrammi che riguardano la cosiddetta impronta ecologica della popolazione mondiale, e qua c’è un aspetto importante che riguarda ancora l’ 1% più ricco, perché quest’1% più ricco della popolazione mondiale consuma praticamente il 41% delle proprie risorse in viaggi aerei, tant’è vero che i viaggi degli aerei privati rappresentano nel complesso il 50% delle emissioni di tutto il settore dell’aviazione a livello globale.

Quindi potete immaginare un 1% della popolazione del mondo che da solo consuma il 50% dei consumi complessivi dei viaggi aerei nel pianeta.

E anche qua, voglio dire su questo bisogna riflettere.

Quando le organizzazioni internazionali che si muovono per la tutela dell’ambiente, chiedono che gli stati impediscano e chiudano gli aeroporti al transito degli aerei privati non stanno dicendo delle cose … diciamo, delle cavolate, stanno dicendo delle cose giuste, così come se effettivamente si vuole andare in questa direzione io, devo intervenire nei settori a maggior consumo, che sono settori come quello delle macchine di grosse dimensioni, quindi stiamo parlando dei SUV, di quelle macchine che percorrono 2-3 km con 1 l di benzina o di gasolio, degli yacht, delle navi da crociera… voi immaginate che una nave da crociera mediamente in un giorno emette tante emissioni quante ne produce un aerogeneratore da 1 MW in un anno.

Voglio dire che se io devo scegliere, se mi permettete, preferisco lasciare una nave da crociera ferma, piuttosto che occupare migliaia di metri quadri di suolo per piantare pale da 1 MW che devono compensare quelle emissione lì.

Se poi moltiplicate tutte le navi da crociera del pianeta per quanti giorni viaggiano durante l’anno, potete anche desumere quanti sono gli aerogeneratori che noi dobbiamo installare sulla nostra terra per compensare quelle emissioni.

Abbiamo detto che sulla terra sono 30 i miliardi di tonnellate di CO₂ immesse, solo in Italia le tonnellate emesse sono 418 milioni di CO₂ equivalente, la sola CO₂, dunque, sono 247 milioni di tonnellate.

È interessante a questo punto vedere qual è la suddivisione per regioni: ce l’abbiamo in questo diagramma qua, e come potete vedere la Sardegna, nonostante abbia già oggi un parco rinnovabile abbondante, come vi ha fatto vedere Graziano, che da solo soddisferebbe più del 70% del consumo energetico civile, nonostante questo la Sardegna, per una media in Italia di 4,9 Tonnellate di CO₂ pro capite, la Sardegna è nettamente in testa con 9 Tonnellate pro capite. Questo è dovuto esclusivamente alla presenza delle centrali a combustibile fossile.

Quindi noi esportiamo energia al continente, il 40% della nostra produzione la esportiamo al continente, e nonostante questo, cioè nonostante abbiamo una produzione già ragguardevole di energia rinnovabile, siamo con ampio margine la regione con la maggiore impronta, e questo non ha conseguenze soltanto in termini di riscaldamento globale, perché noi sappiamo che oggi la Sardegna è una delle regioni più inquinate d’Italia, perché?  Perché bruciare combustibili fossili non è soltanto emissioni di CO₂, è emissione di una miriade di sostanze inquinanti che poi hanno delle conseguenze sulla nostra salute. Prova ne siano gli studi che hanno effettuato tra le popolazioni attorno a quelle centrali,  dove ci sono soprattutto nei bambini danni al DNA, e anche questo ci dovrebbe far riflettere. Quindi noi abbiamo estrema necessità di chiudere queste centrali e di passare al rinnovabile.

Quindi è chiaro che la nostra battaglia non dev’essere quella di opporci alla transizione ecologica, ma la nostra battaglia deve essere quella di spingere verso una transizione ecologica giusta, una cosiddetta transizione ecologica ordinata.

Un altro dato importante è, non so se avete mai sentito parlare dello Earth Overshoot Day, cioè del giorno in cui il pianeta consuma le proprie risorse rinnovabili, perché noi a partire dagli anni 70 abbiamo aumentato i nostri consumi in maniera via via crescente, tanto che, se noi dovessimo fare il conteggio delle risorse che oggi servirebbero per far andare il pianeta, un pianeta da solo non ci basterebbe più.

L’Italia in particolare consuma le sue risorse i primi di maggio di ogni anno, e ogni anno questa data si anticipa sempre di più. Quest’anno siamo arrivati ormai a luglio. Però ci sono dei paesi meno virtuosi nel consumo delle risorse, come il Qatar e il Lussemburgo, che è un paese europeo, e quindi che dovrebbe caratterizzarsi anche in questo per virtuosità, ma, di fatto, non lo è, perché consuma le sue risorse il 14 febbraio, e poi abbiamo l’ultimo della lista, la Giamaica, che consuma le risorse al 20 dicembre, e quindi neanche l’ultimo paese riesce ad arrivare al 31 dicembre.

Cosa significa consumare le risorse rinnovabili? Significa per esempio che quando io utilizzo la legna di una foresta, la sto consumando in maniera troppo rapida per consentire a questa foresta di rigenerarsi. Quindi ci sono aspetti che riguardano in particolare anche l’uso delle risorse.

Questo qua è un estratto del sito, che potete andarvi a leggere, dell’Overshoot Day, in cui dice che le emissioni dei gas serra sono legati intrinsecamente al consumo di risorse di suolo.

Infatti, quando noi parliamo di emissione di gas serra, non possiamo scindere l’uso delle risorse dalle emissioni, le due cose sono legate tra di loro in maniera molto stretta, poi credo che ne parleremo dopo quindi non mi dilungo tanto su questo, però quello che probabilmente è l’aspetto fondamentale di tutto il discorso è che quando si parla di transizione noi non possiamo limitarci a parlare di produzione energetica rinnovabile, o di riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Io posso dire anche una cosa, senza tema di smentita: se noi oggi riuscissimo anche ad abbattere completamente le emissioni di CO₂, con questo sistema che stiamo adottando, non avremo risolto di una virgola il nostro problema, perché se noi non riduciamo il nostro consumo di risorse, noi non avremo nessuna prospettiva per il nostro futuro. Quindi il nostro obiettivo deve essere orientato non solo alla riduzione o possibilmente all’eliminazione delle emissioni, ma deve essere orientato soprattutto alla tutela del suolo, alla riduzione drastica del consumo delle risorse e soprattutto delle risorse non rinnovabili che sono i minerali che noi utilizziamo per la transizione ecologica.

Uno dei problemi che si presentano, e che sono i più grossi e che noi facciamo presente sempre, è che inondare il territorio di sistemi di produzione elettrica da rinnovabile ha il problema del consumo di quelle risorse, delle terre rare e dei minerali che servono per realizzare questi impianti, che non sono infinite. Dai calcoli che sono stati presentati ultimamente, rispetto ad alcuni di questi minerali che vengono utilizzati, noi avremo risorse per vent’anni. Allora io non mi posso mangiare le risorse in vent’anni sprecandole per questi impianti che, come ha detto Graziano, non hanno nessuna prospettiva di funzionare perché quell’energia non la possiamo neanche utilizzare.

Quindi vuol dire che noi fra vent’anni quegli impianti li dovremo dismettere senza averli sfruttati, col rischio di non poterne costruire di nuovi perché non ci sono più risorse. Quindi anche questo deve essere il concetto che noi dobbiamo tenere ben presente: l’uso parsimonioso delle risorse, che significa anche adoperarci per poter riciclare quello che è stato già costruito.

Oggi la maggior parte di quegli impianti non possono essere riciclati. Sono fatti di materiali che sono combinati in una maniera tale che non possono più neanche essere separati, quindi ci vogliono anche degli studi per nuovi sistemi di costruzione e nuovi sistemi di estrazione dei minerali da quegli impianti lì. Oggi la maggior parte di quella roba lì finisce in discarica.

Qua abbiamo un altro diagramma sulla distribuzione della ricchezza nel mondo, cerco di andare in fretta perché il tempo sta scadendo.

Il mix energetico in Italia. Un’altra cosa interessante è questo diagramma qua, ne ha parlato prima Graziano, questa qua è la produzione elettrica in Sardegna. Come vedete c’è questa curva bordò che vedete in alto è la produzione elettrica della Saras. Questa qua sotto di colore verdolino qua in basso rappresenta la produzione elettrica delle centrali a carbone, e tutto il resto sono rinnovabili: blu idroelettrico, l’arancione è il fotovoltaico e questo celestino è l’eolico.

Quindi come potete vedere, la produzione elettrica da gas, e quindi della Saras, da sola soddisfa quasi il 50% del fabbisogno elettrico sardo,

Ma cosa fa questa centrale qua? Questa centrale oggi funziona ventiquattr’ore su ventiquattro a pieno carico, e quindi significa che occupa e intasa la rete, e allora nel momento in cui c’è spazio perché gli altri possano produrre, funzionano e producono, se no rimangono fermi. Quindi noi abbiamo, e se qualcuno gira per la Sardegna, gli sarà capitato di vedere che in giornate ventose gli impianti eolici fermi. Perché sono fermi? Sono fermi perché non c’è spazio per immettere in rete. Ma quali sono le conseguenze? Le conseguenze sono che siccome loro hanno diritto d’immissione in rete, vengano pagati come se stessero producendo, quindi se c’è spazio per immettere in rete o per esportare li attivano, se no Terna li stacca e li paga, e li paghiamo noi con le nostre bollette. Quindi noi abbiamo una doppia fregatura di avere degli impianti che non possono essere sfruttati appieno e che noi paghiamo lo stesso, e questa è una delle ragioni per cui noi abbiamo necessità che queste centrali vengano al più presto dismesse.

Chiaramente ci sono, come hanno fatto presente in tante occasioni, ci sono questioni legate ai posti di lavoro, ma come diciamo noi dei posti di lavoro, se ne deve occupare la politica, e comunque ci sono prospettive per tutti quanti, non sicuramente come vogliono farci credere con le rinnovabili, perché non è vero che gli impianti rinnovabili, come promettono, producono tanti posti di lavoro, però sicuramente con attività come investimenti per la rilocalizzazione delle attività produttive garantirebbero sicuramente posti di lavoro e anche posti di lavoro più salubri.

L’altra questione è questa, che in Italia il sistema elettrico ha bisogno di essere stabilizzato. Soprattutto con l’avvento delle rinnovabili, che funziona soltanto quando ci sono le condizioni metereologiche perché possano lavorare, allora quando ci sono dei buchi, diciamo, tra la domanda e l’offerta, ci sono delle centrali che sono pagate appositamente per intervenire, e ricevono degli incentivi. In tutta Italia le centrali che lavorano in cosiddetto regime di essenzialità  sono 11. La Sardegna che è un’isola con 1.600.000 abitanti rappresenta poco più del 3% del consumo complessivo di energia elettrica dell’Italia, però su un totale di 11 centrali in Italia, 5 sono in Sardegna, e di queste 4 sono centrali a combustibile fossile.

Allora voi mi dovete spiegare che ragione hanno di esistere quattro centrali in regime di essenzialità in Sardegna su 11 in totale in Italia quando noi rappresentiamo appena solo il 3% di consumo elettrico in Italia, e sono altri incentivi che noi paghiamo con le nostre bollette.

Questo perché lo dico? È perché c’è evidenza che è un sistema che non è stato organizzato sulla base della massima efficienza e del massimo beneficio per i cittadini, ma è semplicemente un sistema clientelare, dove alcune centrali, come queste qua, che già oggi alcune di queste potrebbero essere spente, continuano invece ad andare avanti e rimangono magari ferme per la maggior parte del loro tempo perché devono intervenire quando è necessario e ricevono milioni d’incentivi per rimanere lì e continuare a inquinare la Sardegna.

Un aspetto importante è che per realizzare la transizione rinnovabile noi abbiamo bisogno, non semplicemente di installare impianti, ma abbiamo bisogno, intanto di intervenire e ridurre consumi, perché noi dobbiamo abbassare soprattutto i picchi di richiesta perché sono quelli che poi determinano la potenza massima necessaria, la potenza installata massima, e gli impianti di accumulo, che oggi non abbiamo in quantità sufficiente in Sardegna.

Ma un altro aspetto grave è che in Sardegna noi abbiamo una rete elettrica disastrata. Già quest’inverno si è visto, e anche in estate quando a causa del caldo sono aumentati di numero d’impianti di aria condizionata, accesi, la rete è collassata. In inverno invece il maltempo ha fatto crollare le linee elettriche. Quindi noi abbiamo bisogno d’interventi su una rete elettrica perché la rete deve essere resa più robusta, e se noi dobbiamo immaginare davvero di aumentare il numero dei veicoli elettrici, come possiamo in queste condizioni pensare di installare colonnine e di alimentare un territorio che oggi ha più di 1 milione di veicoli, se anche ne volessi convertire il 10% o 20% in elettrico con quale rete li alimento questi veicoli? Quindi il rischio è anche quello di rimanere, come è capitato proprio questo inverno, di avere zone della Sardegna che sono rimaste isolate elettricamente anche per diversi giorni.

Un dato importante, per capire anche di cosa stiamo parlando, Graziano ha detto 55 GW di richieste di installazione di impianti in Sardegna.

Per la costruzione di un sistema fotovoltaico da 1 GW richiede 56.000 tonnellate di acciaio, 12.500 t di alluminio, 42.000 t di vetro, 29 t di argento, 2.200 t di silicio e 7.000 t di rame.

Moltiplicate questo per il numero d’impianti fotovoltaici, immaginate questi impianti quando poi dovranno essere dismessi, e potete capire … impianti che durano venticinque o trent’anni, potete portarli anche a quarant’anni ma è chiaro che noi non possiamo pensare di inondare un territorio con tutti questi impianti inutili, (quando sono così numerosi) con le conseguenze e ci sono anche dopo in termini di smaltimento di questo materiale.

L’altra questione è che questi progetti quando vengono presentati vengono valutati singolarmente, e questo non è più possibile, perché noi, quando trattiamo di questi progetti, dobbiamo per forza parlare d’impatto complessivo dei progetti. Vi do alcuni dati e poi mi avvio alla chiusura.

Per l’agrivoltalico stanno presentando progetti qua in Sardegna, Graziano ha detto bene, noi abbiamo tetti, zone degradate, cave, ex miniere, ci sono degli studi condotti dall’Ispra, dall’Enea, da altri istituti privati, che dimostrano la potenzialità delle superfici in Sardegna, per soddisfare già oggi le esigenze, non solo degli obiettivi a breve termine, ma anche quelli di lungo termine.

Invece stanno presentando progetti per territori agricoli che sono molto fertili, anche per centinaia di ettari di superficie, ed è giusto anche qua andare a vedere un po’, e cercare di raccogliere qualche immagine in giro per vedere un impianto di quelle dimensioni com’è andandolo a guardare, e potrete rendervi conto già da queste immagini, cosa può essere un impianto di diverse centinaia di ettari di superficie, che non è roba da poco, perché sono terreni agricoli che noi stiamo sottraendo alla produzione.

Poi la promessa dei posti di lavoro. Ora, questi qua sono i sistemi che attualmente vengono utilizzati per pulire i pannelli fotovoltaici, sono i sistemi robotizzati. Non c’è più bisogno della manodopera, e inoltre non penso che ci sarebbe molta gente, se non veramente messa alle strette, disponibile a passare tutta la giornata lavorativa e tutta la vita ad andare a pulire specchi. Non c’è la necessità, quindi anche quest’illusione dei posti di lavoro per il mantenimento di questi impianti sono cose che ci dobbiamo, anche giustamente, dimenticare.

Questa è la proporzione tra gli impianti eolici attuali, rispetto a edifici conosciuti, stiamo parlando ormai di torri eoliche che superano… questa per esempio è di 195 metri, ma ormai siamo arrivati a ben oltre i 220 m. Poi ci sono gli impianti off-shore installati nel mare che sono oltre 300 m di altezza, dico questo giusto per capire le dimensioni di questi aerogeneratori.

Perché vengono qua queste società multinazionali a costruire gli aerogeneratori? Vengono per gli incentivi. Un MWh incentivato (per l’eolico e il fotovoltaico) oggi è pagato circa 65 Euro, questo è il prezzo minimo garantito per la vendita dell’energia elettrica. Se queste società riuscissero a realizzare tutti questi 756 impianti in Sardegna, potrebbero guadagnare un valore compreso tra i sei e i nove miliardi di euro l’anno. Questo è quanto guadagnerebbero, e questo è il motivo perché vengono in Sardegna, ripeto, sia che gli impianti lavorino, sia che stiano fermi.

La riflessione è questa, l’Unione Sarda ieri ha pubblicato un articolo sul numero dei sardi che devono abbandonare la Sardegna perché non ci sono prospettive di lavoro. Alcune migliaia di sardi devono abbandonare la Sardegna tutti gli anni, mentre centinaia di società che vengono da fuori, vengono qua a garantirsi profitti miliardari perché la Sardegna è la gallina dalle uova d’oro. Questo ci dovrebbe far riflettere. La Sardegna non è una terra povera, la Sardegna è una terra ricca di risorse e noi questo lo dobbiamo sapere, e dobbiamo anche smetterla di pensare di dover andare a elemosinare qualcosa da qualcuno.

Noi le nostre risorse le dobbiamo tutelare e le dobbiamo utilizzare, prima di tutto per garantire a noi stessi una vita dignitosa, perché abbiamo tutti i numeri per ottenere dei risultati soddisfacenti, ma soprattutto per quanto riguarda la transizione ecologica. La transizione ecologica non deve diventare la battaglia che noi stiamo facendo oggi, in questi anni, per difenderci da un assalto, deve diventare per noi una risorsa, ed è una risorsa importante perché può garantire posti di lavoro qualificati, perché c’è da lavorare in tutti i settori.

Parlavamo prima all’agricoltura, vorrei ricordare soltanto una cosa, l’agricoltura non significa semplicemente andare a zappare la terra, l’agricoltura oggi significa tutta la tecnologia che gira intorno all’agricoltura, per fare agricoltura di qualità, che non è solo produzione, ma è tutta l’assistenza di tecnici specializzati, per agricoltura intendo anche tutto l’ecosistema, anche l’ambito forestale, perché noi veramente abbiamo bisogno di impegnare le nostre intelligenze e quindi formare i giovani perché si dedicano in maniera approfondita a questi temi, per la difesa del territorio e ricavare il massimo beneficio per tutti quanti.

Ed è con quest’auspicio che chiudo la mia relazione.

Grazie.

P.S. Su richiesta sono disponibili le slide di presentazione