Mi Presento

Per piacere o per dovere molti di noi attraversano ogni giorno il territorio vasto e apparentemente privo di riferimenti che la vita ci mette davanti mentre noi siamo impegnati a realizzare qualcosa, e quello che ci capita spesso ci disorienta e ci distrae dai nostri propositi. In questi casi il buon senso ci consiglia di non andare contro corrente, di non lottare inutilmente sprecando tempo ed energie in una lotta impossibile, ma di fermarci, di procurarci una mappa del territorio e individuare dei punti di riferimento da cui poter ripartire.

Sono nato a Nulvi, un paese attraversato da una strada con molte curve che da Tempio Pausania porta alla città Sassari.

Mio padre allevava bestiame e faceva l’agricoltore a Lecchereo, una campagna che per metà è nel comune di Nulvi e per metà in quello di Tergu, e dista da Nulvi 12 Km. La strada per Nulvi allora non era asfaltata, e da bambino la percorrevo spesso per portare il latte al “Caseificio Monte Alma” gestito dalla Cooperativa San Pasquale di Nulvi.

Avevo una zia maestra di scuola elementare, che all’età di cinque anni mi portò a scuola con sé, e lo devo a lei se ora sto scrivendo queste righe, perché m’insegnò a leggere e a scrivere e a esprimere il mio pensiero. Dall’età di dieci anni, in estate, quando non andavo a scuola, mio padre mi portava con sé a Lecchereo a pascolare le pecore e a mungerle nella “mandra”, cosa che continuai a fare anche negli anni seguenti. A 14 anni m’insegnò anche a mietere il grano e l’orzo con la falce, una cosa normale a quel tempo nel mio paese, e continuai a farlo tutti i giorni nei mesi estivi sino all’età di 19 anni, quando conseguii il diploma di perito tecnico e cominciai a lavorare nello stabilimento petrolchimico di Porto Torres.

L’anno dopo, nel 1970 nel mese di maggio mio padre morì, lasciando 160 pecore, due vacche, alcuni asinelli, la casa da ultimare e una famiglia con sette figli da mantenere. Il più grande ero io. Erano gli anni del boom economico, ma per noi furono anni difficili. Il mio stipendio era necessario per mandare avanti la famiglia, poiché con lo scarso reddito che entrava dalla campagna mia madre e mio fratello Paolo – che curava il bestiame con l’aiuto degli altri fratelli piccoli – non potevano tirare avanti da soli, per cui decisi di lavorare per la famiglia, e nello stesso tempo continuare a studiare all’Università, perché avevo un disperato bisogno di dare sfogo alla mia passione per la conoscenza e alla mia curiosità innata.

Nel 1980 conseguii la laurea in Scienze Politiche, un corso di studi che non avevo scelto, ma che mi dava un motivo per andare avanti nella difficile situazione in cui ci trovavamo.

Erano trascorsi dieci anni dalla morte di nostro padre, e grazie all’impegno mio, di Paolo, degli altri fratelli e della mamma avevamo trovato la serenità di una vita dignitosa, ma le forze centrifughe dei parenti di una e dell’altra parte (mi riferisco ai due clan rivali delle famiglie dei nostri genitori che da sempre si erano combattuti mettendo il babbo contro la mamma e noi figli uno contro l’altro, costruendo false verità, oggi diremmo post-verità o fake-news) avevano fatto della nostra famiglia e della nostra casa un campo di battaglia con lo scopo di dividerci rendendoci vulnerabili e bisognosi della loro protezione e del loro aiuto, che avremmo poi pagato al caro prezzo della loro “beneficenza”. Io per evitare questo ho sacrificato gli anni più importanti della mia vita. Ma alla fine loro, “i parenti”, sono riusciti nel loro intento, e dopo che in qualche modo avevamo raggiunto una certa indipendenza economica vidi crollarci addosso quella “realtà” di una vita dignitosa che io e i miei fratelli con tante difficoltà ci stavamo costruendo.

Per loro fu facile, dico per i “parenti” (potrei fare nomi ma non lo farò, perché non ce l’ho con le persone, ma con una cultura millenaria fatta di sopraffazione e autolesionismo, che premia i forti e calpesta i più deboli, facendo apparire agli occhi della comunità del paese come tutto questo sia “normale”. Così costruiscono “ad hoc” delle false-verità per dimostrare che i più deboli in qualche modo se la sono cercata, per cui quello che gli capita “è giusto, perché è colpa loro”; e tutto questo accade con la collaborazione di tutti, ciascuno contribuisce raccontando un fatto accaduto, o anche più spesso non accaduto ma raccontato come vero modificandolo a suo piacimento secondo l’ispirazione del momento. È la legge del “branco” che “Hannah Arendt”, una filosofa americana di origine ebraica nel suo libro “La banalità del male” descrive molto bene.

Fu così che quando conseguii la laurea in Scienze Politiche mi fecero “la festa”, e in quell’occasione capii che tutto quello per cui mi ero impegnato fino a quel momento era finito, non che avessi completamente fallito, ma “la realtà” per cui mi ero tanto battuto, la nostra realtà, alla fine era cambiata di poco, e tutto era ritornato a essere come prima, quando con noi c’era ancora il babbo.

Mi resi conto anche che da un giorno all’altro, senza che io facessi niente, la mia situazione personale era cambiata, anzi si era completamente ribaltata. Da brillante studente-lavoratore che metteva il suo stipendio a disposizione della famiglia e dei fratelli, come sapevano e dicevano tutti fino a quel momento, improvvisamente ero diventato un povero ingenuo che non era in grado di badare a sé stesso; infatti, – secondo quello che si raccontavano i cosiddetti “parenti” tra di loro e con i loro conoscenti – ero rimasto nella casa paterna perché non avrei saputo come fare per cavarmela da solo. Qualcuno cominciò anche a modificare i fatti accaduti dicendo che molte delle cose che si dicevano sul mio conto non erano vere, che erano state inventate da me per avere una posizione di privilegio sugli altri fratelli, perché il mio scopo era di “comandare” su di loro (cioè esattamente l’opposto di quello che penso e che ho sempre fatto) e a forza di raccontarselo alla fine tutti – i parenti e i loro conoscenti – nel paese se ne sono convinti. Ma c’è voluto un po’ di tempo perché le calunnie sul mio conto sortissero qualche effetto. Io, infatti, col mio comportamento non davo nessun peso a queste insinuazioni poiché non rivendicavo i miei diritti (non mi riferisco solo ai diritti materiali, ma anche alla verità che ciascuno ha il diritto di rivendicare come dovere verso sé stesso e verso la propria dignità personale). Fu così che, dopo che tentai inutilmente di convincere nostra madre e gli altri fratelli a rimanere uniti e continuare andare avanti da soli con le nostre forze come avevamo fatto fino a quel momento, poiché per noi era l’unica strada percorribile per conservare l’unità della nostra famiglia, capii che l’unica possibilità che ci era rimasta era quella di divederci e di cercare ciascuno la sua strada accettando la “beneficienza” che (in apparenza) veniva offerta molto prodigalmente a ciascuno dei miei fratelli dal “padrino” di turno.

Anche io dovetti cercare un punto di riferimento che mi permettesse di ricominciare, e a trent’anni suonati e con poche lire in tasca non mi fu facile. Così decisi di fare il loro gioco. I cosiddetti “parenti”, nel frattempo mi avevano costruito una fama di “playboy” (cosa che niente è più lontano dal vero). Bene! così decisi di sfruttarla.

Passai un anno dopo la laurea a guardarmi intorno (potrei chiamarlo un anno sabbatico anche se lavoravo alla SIR di Porto Torres e avevo accettato l’offerta del mio amico Antonello Canu di fare il dirigente della squadra del calcio di Nulvi, il “Monte Alma”, che giocava e gioca ancora oggi in 1° categoria); e così tra il lavoro, che svolgevo durante la settimana, e le partite di calcio, che si giocavano la domenica, intrapresi contemporaneamente alcune iniziative che mi aiutarono a capire che se fossi rimasto in Sardegna i  cosiddetti ”parenti” mi avrebbero ostacolato e per me tutte le strade sarebbero state precluse, poiché la sfera d’influenza di alcuni “parenti” arrivava addirittura fino a Cagliari.

Così trovai la scusa giusta (senza danneggiare nessuno dei miei fratelli ed evitando di distruggere quel poco che avevamo costruito insieme), mantenendo buoni rapporti con tutti parenti e conoscenti di tutte le fazioni (buoni rapporti almeno in apparenza, che per quell’ambiente è il solo che conta) feci capire che poiché il petrolchimico stava per chiudere e la maggior parte dei dipendenti sarebbero stati licenziati (cosa purtroppo realmente accaduta), lasciai la Sardegna e andai a lavorare per l’Agip in Nigeria, uscendo così dalla loro sfera d’influenza. Alcuni ancora oggi nel paese di Nulvi sono convinti che io mi trovi ancora lì, in Nigeria. Poco importa, perché era il solo modo per sfuggire al controllo di quell’entità superiore che nel paese di Nulvi viene chiamata “tradizione” (il concetto a cui mi riferisco è descritto molto bene da Gavino Ledda nel suo libro “Padre Padrone” e che lo Spengler, uno studioso tedesco di sociologia politica chiama “Kultur” – cioè il diritto di alcuni a esercitare il loro potere sugli altri, e si alimenta con l’accondiscendenza di tutti e di ciascuno, la legge del branco insomma).

Così lavorai un anno in Nigeria per l’Agip, e nel frattempo mandai il mio curriculum ad alcune ditte. Trovai lavoro con la Rossetti Trattamento Acque di Milano, una ditta leader nel settore, e questo mi permise di frequentare nel Politecnico di Milano la facoltà di “ingegneria delle tecnologie industriali”, un nuovo indirizzo di studio che era stato introdotto proprio in quel periodo.

Passarono alcuni anni, e la Rossetti mi nominò supervisore esecutivo degli impianti in costruzione nel centro-sud Italia, e trasferì la mia sede di lavoro a Recanati, dove seguii la costruzione di alcuni impianti nelle province di Macerata, di Termoli e di Catania, e per due anni nei fine settimana frequentai l’Istituto Superiore di Giornalismo a Urbino. Furono anni difficili per l’Italia, e anche per la ditta Rossetti che era una società conosciuta in tutto il mondo per la sua serietà e competenza. La Rossetti passò di mano, ma presto mi resi conto che i nuovi proprietari non avevano gli stessi scrupoli di quelli di prima, per cui non mi sentii più di rappresentarla. Diedi le dimissioni e fui assunto dall’Italimpianti, una società di ingegneria con sede a Genova che progettava e costruiva in tutto il mondo acciaierie e impianti per la produzione di acqua potabile ricavata dalla dissalazione dell’acqua di mare. Iniziai quindi a lavorare per Italimpianti come responsabile del settore meccanico per gli impianti di dissalazione ad Abu Dhabi e Dubai negli Emirati Arabi, e la centrale termoelettrica che Italimpianti con Ansaldo realizzò nell’acciaieria di Mobarakeh presso Esfahan, in Iran.

Negli anni successivi, sempre come responsabile del Settore Meccanico, seguii con l’Ansaldo Energia la progettazione e la costruzione della centrale termoelettrica a olio combustibile da 700 MW a Bisotun in Iran.

In quegli anni ci fu in Italia il referendum sul nucleare, e molte ditte di costruzioni italiane fallirono e l’Ansaldo era tra queste. La centrale termonucleare di Montalto di Castro già montata e pronta per partire fu smantellata e rottamata. Al posto dei reattori nucleari e delle caldaie furono installate delle Turbine a Gas a Ciclo Combinato costruite dalla General Electric e dalla Westinghouse, due ditte americane che subentrarono alle ditte italiane del settore energia. In tutta Europa ormai si costruivano soltanto centrali termoelettriche a ciclo combinato di tecnologia americana. Fui così costretto a lasciare il settore delle centrali termoelettriche tradizionali in cui mi ero formato e fino ad allora avevo maturato la mia esperienza tecnica, e iniziai a lavorare nel settore per me completamente nuovo delle turbine a gas a ciclo combinato. Non mi fu facile, ma dopo un periodo di gavetta divenni “Specialista di turbine a gas General Electric” e seguii il montaggio di alcuni impianti: la centrale termoelettrica a ciclo combinato di Terneuzen in Olanda, varie stazioni di pompaggio del gas in Russia (Iževsk, Mari El), la centrale a recupero termico a Wakefield in Inghilterra, la nuova centrale elettrica turbogas a ciclo combinato dell’Ilva di Taranto, e finalmente l’impianto a ciclo combinato per la produzione di idrogeno e gas di sintesi (IGCC) in Sardegna, dove ho lavorato per 10 anni. È un impianto assimilato alle energie rinnovabili, e stato progettato e costruito da Ansaldo e General Electric per la Saras a Sarroch vicino a Cagliari.

Nel 2010, dopo 40 anni di attività lavorativa come dipendente sono andato in pensione. Ho comunque continuato a svolgere consulenze nel settore meccanico delle turbomacchine per compagnie internazionali come ENI, General Electric, Siemens, ENEL, Sarlux, Saras, e corsi nei centri di formazione per i nuovi tecnici e ingegneri a Milano, Firenze, Parigi, e nelle Corporate University di Dubai, Doha, varie città dell’Australia, Malesia, Arabia Saudita, Oman, Algeria, Tunisia.

Da qualche anno – per ragioni di età – ho deciso non andare più all’estero, e di chiudere definitivamente l’attività lavorativa. Ho così trovato il tempo per approfondire la conoscenza delle scoperte che vengono fatte nel campo della Fisica Moderna. In particolare – già da quando frequentavo la facoltà di Ingegneria a Milano – m’incuriosiva la Meccanica Quantistica, una scienza che viene generalmente presentata come l’antitesi della meccanica classica (da cui trae origine la scienza delle costruzioni che per 40 anni è stata la base della mia attività lavorativa).

La meccanica quantistica afferma che in qualche modo la meccanica classica è sbagliata, per cui volevo capire come mai la “Meccanica Classica”, una scienza che per oltre due secoli – dalla rivoluzione industriale sino a oggi – è stata considerata come un vangelo oggi viene messa in discussione e in qualche modo le nuove scoperte e le tecnologie della meccanica quantistica stanno facendo passare in secondo piano le tecnologie basate sulla meccanica classica.

Sono venuto così a conoscenza che sino al 1964 la Meccanica Quantistica era considerata poco attendibile, e nel migliore dei casi “incompleta”.

Cioè – dicevano i cultori della Meccanica Classica – i risultati a cui perviene non sono giusti, perché c’è qualcosa che rimane nebuloso e indefinito. È noto il dibattito durato per quasi trent’anni (alimentato dalla tesi di “Einstein, Podolski e Rosen”) tra i due giganti della scienza moderna: Einstein, il padre della Teoria della Relatività da una parte, e Niels Bohr, il maggiore rappresentante della Meccanica Quantistica dall’altra.

Nel 1955 Einstein morì convinto di avere ragione, ma nel 1964 John Stewart Bell, uno scienziato irlandese, con un esperimento conosciuto come “Le disuguaglianze di Bell” dimostrò che Einstein aveva torto: la Meccanica Quantistica non è incompleta, sebbene molti dei suoi principi rimangano oscuri e trovino una loro dimostrazione scientifica solo in termini matematici, ma sono inspiegabili e incomprensibili alla nostra mente razionale.

Comunque, dopo questo riconoscimento ufficiale la meccanica quantistica ha fatto enormi progressi. Da una parte hanno contribuito le scoperte fatte dai numerosi scienziati Premi Nobel e le migliaia di scienziati che lavorano al Cern di Ginevra, al Fermilab di Chicago e nei numerosi laboratori di ricerca sparsi in tutto il mondo. Dall’altra l’implementazione delle moderne tecnologie che tecnici e ingegneri di tutto il mondo (soprattutto della Cina) stanno mettendo a punto sulla base dei principi e le scoperte della Meccanica Quantistica, e che sono alla base dei dispositivi che noi utilizziamo tutti i giorni: dai telefonini, ai navigatori satellitari, alle apparecchiature medico scientifiche, ma soprattutto ai moderni dispositivi che stanno rendendo possibile la transizione ecologica e la razionalizzazione dell’impiego delle energie rinnovabili, elementi indispensabili per superare questo difficile momento del cambiamento climatico e del riscaldamento globale del nostro pianeta.

Con questo Blog propongo a coloro che sono interessati a conoscere questi argomenti di avviare un dialogo finalizzato a procurarci una mappa del territorio in cui stiamo vivendo in modo che ciascuno possa individuare un punto di riferimento che lo aiuti a percorrere la sua strada in modo più consapevole.